Una cicogna tra le nuvole, nel becco il fagotto con un bel bambino. Se
planerà sull’Africa, se arriverà in Congo, quel bimbetto avrà una
possibilità su due di vivere. Già, perché in Congo per un bambino su due
il primo giorno di vita è anche l’ultimo. Difficile da immaginare. Ma
per capire basta guardare gli scatti della mostra fotografica di Nanni
Fontana - didascalie di Alberto D’Argenzio - inaugurata ieri presso la
libreria Feltrinelli nella Galleria Alberto Sordi di Roma. Una mostra
itinerante (passerà a Firenze, Padova, Genova, Torino e Mestre) voluta
da Imagine, onlus che si batte per il diritto alla salute in Congo da
anni. Martoriata dalla guerra, la Repubblica democratica del Congo ha
una costituzione giovane.
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Ma quel che vale di più è l’undicesimo articolo, quello che nessuno
scrive ma che è comune pratica sanitaria: «arrangiatevi». È questo il
titolo della mostra: Débrouillez-vous- La salute negata. Nell’occhio del
ciclone il distretto Ituri, la regione più povera del Paese già
poverissimo. Un tessuto sociale fragile e ferito dalla guerra, un
territorio massacrato dallo sfruttamento minerario. Capita così che il
reparto maternità sia ospitato in un edificio spartano se non sotto un
albero, con le flebo appese a un filo: è il centro di Saba, ha un bacino
di 10.000 persone ma non c’è elettricità né acqua.
Tre infermiere, una segretaria e una sentinella: unico refrigerio gli
alberi, che espongono però i malati al rischio della malaria.
L’incertezza del futuro è scritta sul volto di una donna mentre le vien
fatta un’ecografia: oggi va bene, ma domani? È l’ospedale di Mongbwalu,
l’unica apparecchiatura che funziona è l’ecografo, radiologia e
cardiologia sono stati saccheggiati. L’ospedale è di proprietà di una
multinazionale, l’Agk, che finanzia solo le cure per i suoi settecento
dipendenti. I centomila abitanti delle zone rurali restano
drammaticamente esclusi. Ci si arrangia, intanto. A carezzare una bimba
piangente sotto una zanzariera è la mamma, giovanissima e sgomenta: ci
si arrangia. Ci si arrangia nel reparto Ostetricia, chi può stare in
piedi cucina anche per le altre.
Capita nell’ospedale di Tchomia, poca l’acqua, elettricità solo tra le
18 e le 21, ben settanta bambini stretti su 40 brandine, materiale e
medicinali scarsissimi. Ci si arrangia, certo. Ma arrangiarsi non basta.
Come sempre, i più piccoli pagano colpe non loro, nel distretto di
Ituri 408 bambini su mille muoiono ogni anno per gastroenterite,
malaria, infezioni respiratorie, Tbc. La guerra ha lasciato una scia di
violenze e uno strascico di lutti, sfollati e molti orfani. Gli ex
combattenti si sono riciclati come guidatori di moto-taxi o come
minatori.
Nelle miniere d’oro, riaperte dopo la guerra, si scavano oro, rame,
diamanti e coltan. Diffusissima è la malaria, malattia complicatissima.
Gli antimalarici non bastano mai e quando i malati tornano nei loro
villaggi ancora nella fase acuta, rischiano di contagiare anche i sani.
Numeri terribili. Non ineluttabili. Qualcosa si può fare, si deve. È
questo l’obiettivo di Imagine: non lavorare in emergenza, ma sostenere
le strutture sanitarie di base, ascoltare e dare risposte ai bisogni
primari.
Lo ha fatto, racconta Ignazio Marino, presidente di Imagine onlus e
senatore Pd: nell’ospedale «Di Mudzi-Balla, a pochi chilometri dalla
capitale Bunia, a oggi sono stati realizzati e poliambulatori.
L’ospedale è l’unico nel distretto di Ituri ad avere l’acqua potabile,
senza la quale non esistono le condizioni igienico sanitarie minime per
una assistenza efficace». Così che scendano le terribili morti di parto,
così che le donne possano vivere la loro gravidanza come un dono e non
un pericolo.
Fonte: L'unità
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