Le perdite di Sharp e Panasonic arrivano a 12 miliardi di euro. Sony torna in positivo ma solo grazie ai buoni risultati dei servizi finanziari. Le agenzie di rating declassano i titoli.
E’ forse il vero male oscuro del Giappone: i colossi dell’industria elettronica, marchi di fama mondiale che sono vanto e simbolo dell’economia nipponica, versano in grave crisi. Fatturato e vendite sono ancora da capogiro: ad esempio la Sony conta di vendere nel 2012/13 34 milioni di smartphone, 14,5 milioni di televisori, 16 milioni di fotocamere digitali e altrettante playstation. Ma le perdite sono altrettanto ed anzi ancora più grandi. Il problema, al di là delle oggettive difficoltà congiunturali, è che a livello manageriale, dopo i trionfi degli ormai lontani decenni d’oro tra anni’70 e ’90, fa difetto la capacità di rinnovarsi con la velocità e inventiva che il mercato globalizzato impone.
A Tokyo la preoccupazione è grande, dopo la pubblicazione, nei giorni scorsi, degli ultimi dati relativi al terzo trimestre del 2012 e alle prospettive per l’anno fiscale in corso, che si chiude nel prossimo marzo. Con insistenza si parla della assoluta necessità di recuperare il tempo perduto, tanto di fronte alla rapida crescita di agguerriti concorrenti, primi tra tutti isudcoreani, quanto di fronte agli altrettanto repentini cambiamenti nei gusti, nelle aspettative e nelle disponibilità economiche dei consumatori. La Sharp, numero uno del settore, e la Panasonic hanno fatto sapere che prevedono quest’anno perdite nette per circa 12 miliardi di euro, ovvero 1,2 trilioni di yen: 4,5 miliardi le perdite della prima, 7,5 quelle della seconda, tanto più impressionanti perché era stato preventivato addirittura un utile netto di 500 milioni.
La terza ’grande’ dell’elettronica, la Sony, parrebbe in condizioni migliori avendo comunicato che quest’anno, per la prima volta dopo cinque anni di bilanci in rosso, torna in positivo con un surplus di 200 milioni di euro, che rappresenta un bel passo avanti rispetto ai 4,5 miliardi di perdita dell’anno scorso. Ma questo buon risultato non è dovuto alla riconquista di quote di mercato, bensì a operazioni finanziarie non connesse con la produzione, che invece continua a scendere. Quindi gli analisti propendono anche in questo caso per pessimistici scenari futuri. Il trend d’altra parte non induce all’ottimismo. Oggi il fatturato dei tre supergruppi dell’elettronica ammonta a circa 20 miliardi di euro contro 160 miliardi registrati solo cinque anni fa. E invece nello stesso periodo il gigante sudcoreano Samsung è passato da 110 a 140 miliardi di euro di fatturato
Il fatto che le agenzie di rating americane, dalla Standard & Poor’s alla Fitch, abbiano effettuato i più umilianti declassamenti delle obbligazioni, fino a definire praticamente spazzatura (junk) quelle della Sharp ed a concedere al massimo un “B meno“ alla Sony, ha peggiorato ulteriormente il clima. Durante l’estate le azioni della Sony sono scese, per la prima volta dal 1980, sotto la soglia psicologia di mille yen mentre, per la prima volta in assoluto, la Panasonic ha annunciato quest’anno che non verserà dividendi agli azionisti. Insomma, le azioni precipitano e si comincia a temere che presto i debiti diventeranno insostenibili e le obbligazioni non verranno rimborsate.
Le banche, per aprire linee di credito, chiedono ristrutturazioni profonde e garanzie fino a ieri impensabili. I licenziamenti fioccano: la Panasonic ha già ridotto del 10 % il numero degli addetti; Sharp ha promesso che farà altrettanto e la Sony ha effettuato una riduzione del 6%. Si chiudono gli stabilimenti improduttivi, compresi quelli delocalizzati in Cina. Si procede a svendere il prestigioso patrimonio immobiliare: la Sharp ha dovuto rinunciare al suo quartier generale di Osaka e la Sony, dicono alcune voci non confermate, starebbe pensando di vendere perfino il grattacielo che porta il suo nome a New York.
Il baratro che si sta aprendo davanti alla Sharp è non solo il più profondo, ma anche il più sorprendente. La Sharp infatti è l’interfaccia della Apple, alla quale à legata da contratti miliardari. Tuttora garantisce una tecnologia superiore a quella di tutti i concorrenti nel campo dei pannelli per smartphone e tablet, specialmente da quando (2009) la Samsung ha interrotto ogni possibilità di dialogo con la Apple introducendo la linea Galaxy su smartphone con l’ausilio del sistema operativo Android, della Google. Tuttavia neppure la Apple, prima al mondo per fatturato, sembra bastare a tappare tutte le falle della Sharp.
Dopo gli accordi col colosso di Cupertino la Sharp ha speso un miliardo di euro per fare fronte agli impegni, a partire dalla ristrutturazione degli impianti di Kameyama, nella prefettura di Mie, ma – scrive l’autorevole quotidiano economico ’Nikkei’ – a tutt’oggi non è chiaro se riuscirà a fornire un numero sufficiente di pannelli al prezzo pattuito. Inoltre resta la zavorra rappresentata dagli errori manageriali del recente passato. Ad esempio si è esagerato a puntare tutto sugli LCD (Liquid Crystal Display) per i televisori ultrapiatti, perché tutto quello che attiene alla tv tradizionale è ormai in inarrestabile declino.
Calcoli sbagliati anche quando si è scelto l’innovazione acquisendo la Sanyo e tutto il suo business legato alle batterie solari. L’investimento è stato inferiore ai ricavi, un vero flop. “E’ mancata la capacità di ricalibrare la produzione e ormai per la Sharp è troppo tardi”, ha dichiarato nei giorni scorsi Shunsuke Tshchiya, analista di Credit Suisse. Si è fidata troppo dei vantaggi in termini di tecnologia di cui godeva l’industria giapponese e si è addormentata sugli allori.
Un errore strategico della Sharp, così come di Panasonic e Sony, è stato poi quello di dare uneccessivo peso al mercato interno in termini sia di quantità sia di qualità della domanda. Ora che in Giappone i consumi si riducono a causa della crisi generale, le vendite crollano. Per di più si prosciugano i mercati esteri tradizionali, Europa in primo luogo, che erano permeabili ai prodotti concepiti per il mercato interno nipponico.
Oggi gli unici mercati che permetterebbero alti profitti sono quelli dei Paesi emergenti, ma per conquistarli occorre rimodulare i prodotti sulle loro esigenze ed è su questo scoglio che l’industria elettronica giapponese si è arenata. Gli alti salari garantiti alle maestranze inGiappone e la sopravvalutazione dello yen (particolarmente sentita in questo settore perché contrapposta alla sottovalutazione del won coreano) hanno fatto il resto. Senza contare il danno subito negli ultimi mesi a causa dello scontro frontale con la Cina circa la sovranità delle isole Senkaku. La Cina è infatti un mercato vitale per il futuro dell’elettronicagiapponese: da essa provengono il 20% degli utili della Sharp, il 14% della Panasonic e l’8% della Sony. Il boicottaggio lanciato dai nazionalisti cinesi contro i marchi nipponici si è fatto ampiamente sentire.
Per la strategia di uscita dalla crisi tutti sono d’accordo. L’industria elettronica giapponesedeve rapidamente diversificare il business, cambiare i progetti di spesa e il portafoglio produttivo, tagliare i costi operativi. La Panasonic sembra ora orientata a puntare su elettrodomestici di ultima generazione e su congegni automatici per l’industria. La Sony crede negli smartphone e per di più ha appena comprato il pacchetto di maggioranza della Olympus, il leader mondiale per le apparecchiature mediche. La Sharp sta trattando un accordo ’storico’ con la taiwanese Hon Hai, che già assembla iPhone e iPad in Cina, per garantire la tenuta del contratto con la Apple.
Fonte: Lindro.it
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