
L’origine dell’universo è ancora avvolta nel mistero, ma un gruppo di astrofisici è riuscito incredibilmente a identificare la giovane galassia che spuntò dall’universo buio e che nasconderebbe le nostre origini. Una scoperta che inorgoglisce anche il nostro Paese dato che due degli astrofisici del gruppo sono italiani: si tratta di Massimo Meneghetti e Mario Nonino, rispettivamente dell’Inaf-Osservatorio astronomico di Bologna e Inaf-Osservatorio astronomico di Trieste che hanno partecipato al progetto Clash coordinato dallo Space Telescope Science Institute di Baltimora (Usa).
Gli astrofisici hanno identificato la grande isola stellare che si trova a 13,2 miliardi di anni luce dalla Terra e questo prova che esisteva quando l’Universo aveva appena 490 milioni di anni, cioè quando era ancora giovanissimo ed era addirittura immerso in quella che viene definita “l’età oscura” cioè quando il cosmo era completamente avvolto in una nebbia di idrogeno neutro che impediva addirittura alla luce di penetrare. Gli astrofisici sostengono che l’età oscura si protrasse addirittura per 800 milioni di anni dopo il Big Bang che diede origine all’universo: solo quando terminò la luce delle stelle riuscì a mostrare come si stava evolvendo realmente il mondo. Ma come hanno fatto gli atrofisici a identificare la galassia tanto remota? Semplice, lo hanno fatto grazie alla teoria della relatività di Einstein. Partendo dal fatto che il progetto Clash tende a identificare soprattutto astri molto deboli, magari nascosti da altri astri, grazie alle loro emissioni di radiazione, gli astrofisici hanno valutato anche la teoria della relatività di Einstein seondo cui la massa di un astro può curvare la traiettoria della luce andando a creare un effetto noto come lente gravitazionale che riesce a mostrare quello che altrimenti non sarebbe visibile. La massa in pratica funziona come una lente che amplifica l’immagine dell’oggetto che sta alle sue spalle. La giovane galassia identificata si trova alle spalle di un enorme ammasso di galassie che in pratica ha amplificato di ben quindici volte il profilo dell’isola stellare ed è riuscito ad Hubble e a Spitzer della Nasa che ha approfondito l’osservazione.
Fonte: Aciclico.com
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